giovedì 19 ottobre 2017

#1 Prisoners: il religioso

La prima cosa di cui vorrei raccontarvi e di cui vorrei mettervi a parte riguarda uno dei detenuti che più ho dovuto tenere a bada durante i miei primi dieci anni, e con cui ovviamente ho avuto più rapporti collaborativi e azzarderei personali.
Si chiamava Ephraim Smith ed era ebreo. Non ho mai avuto pregiudizi personali sugli ideali politici o religiosi di un detenuto. Per me un detenuto valeva quanto ogni altro, indipendentemente dalla sua nazionalità e dal suo credo. Specifico però la religiosità di quest'uomo in particolare, poiché egli la ostentava in maniera così radicale che spesso si perdeva in sproloqui circa la rigorosità della sua dottrina e delle sue regole da seguire.
Per farvi un esempio pratico, quando fu incarcerato richiese che le proprie divise da detenuto fossero di unica fattura e materiale, visto che il mescolare nell'abbigliamento di cotone, seta o altro era proibito dalle norme del suo Dio.
Acconsentii perché ognuno ha il diritto di credere in ciò che vuole, ma se avessi saputo quanto estremista fosse il suo professare, non saprei come sarebbe andata la sua permanenza nel mio carcere. Forse molte cose si sarebbero potute evitare, ma dico a me stesso che questa è solo una sciocca bugia.
Ebbe 11 anni perché circoncise due mussulmani contro la loro volontà, rapendoli da un bar e portandoli a casa propria. Li aveva legati uno alla volta sul tavolo della propria cucina, li aveva denudati e con un coltello a lama liscia li aveva strappato via il prepuzio. I vicini avevano sentito le urla e avevano chiamato la polizia. Fu arrestato immediatamente, ma il suo avvocato riuscì ad evitargli l'accusa di tentato omicidio, poiché dopo la circoncisione li aveva medicati per non farli morire dissanguati. E così ottenne 11 anni, sebbene ne scontò soltanto 10 nel mio carcere.
Vi parlo di lui per due semplici ragioni, molto distinte tra loro e molto legate in un certo senso, nonostante io ci abbia messo anni a capire e collegare il tutto.
Adesso che ripenso a quanto accecato fossi dal suo parlare persuasivo e dolce, non posso fare altro che biasimarmi ed incolparmi in parte per la morte di tutte quelle persone.
Sì, perché Ephraim fu uno dei tanti serial killer di detenuti con cui ebbi a che fare. Uccise 32 carcerati prima che io capissi ogni cosa, sebbene ogni morte seguisse uno schema ed un rituale religioso.
Ma come potevo io intuirlo, se lui stesso mi aiutò a capire cosa stava succedendo?
Come potevo io sospettare dell'unica persona che mi aiutava nelle indagini?
L'FBI non serviva a nulla e le telecamere non riuscivano mai ad inquadrare né omicidi né responsabili.
Come potevo io immaginare che Ephraim faceva sacrifici umani al suo Dio?
Ah, questa è solo la prima delle due cose macabre legate a quest'uomo...

mercoledì 18 ottobre 2017

#0 Prisoners: storie dalla prigione

Da quando è cominciato il mio periodo di pensione, i ricordi di quello che ho vissuto durante il mio lungo arco di carriera lavorativa hanno cominciato ad ossessionarmi. Le memorie delle vicende a cui ho assistito hanno letteralmente iniziato ad invadermi i sogni e a tormentarmi durante il giorno. Quasi come irrefrenabili compagni di viaggio, essi mi seguono come se il nostro tempo non fosse concluso una volta ricevuto il mio congedo per età pensionante raggiunta. Sono lì, sempre, in attesa e immobili. Pronti a gettarmi nel baratro da cui pensavo di essere uscito sopravvissuto.
Uno dei miei migliori amici mi ha suggerito di raccontare tutto a qualcuno competente, magari un giornalista in grado di trarne un'inchiesta o addirittura un romanzo su tutte le vicende. Ma come potrei mai io vuotare il sacco su vicende che a stento riesco a comprendere io stesso? Sembrerei pazzo e sciroccato e dubito altamente che un professionista mi prenderebbe sul serio invece di deridermi e dirmi che sono solo un vecchio bacucco.
Allora cosa ho pensato di fare? Come ho deciso di combattere questi tormenti con le mie forze? Ho tempo praticamente da vendere, visto che non lavoro più. Se pian piano fossi io stesso a raccontare la mia storia scrivendola come un reportage, un'inchiesta o come un romanzo? Per questo motivo scrivo su questo blog, ogni giorno aggiornerò la narrazione con un pezzetto in più delle vicende che mi sono capitate, così da confessarle tutte una buona volta, alleggerendo il mio animo e la mia mente dilaniata.
Ah, dimenticavo di dirvi che lavoro ho fatto nella vita.
Sono stato il direttore di un carcere misto per oltre 40 anni.
Ho visto cose che tutti stenterebbero a prendere per vere.
Serial killer di prigionieri, complotti, sette segrete, traffici clandestini, possessioni, radicalismi politici, suicidi, estremismi religiosi, fantasmi, anime vaganti...
Ho visto tutto e quindi voglio raccontarle tutte queste mie storie dalla prigione.

martedì 10 ottobre 2017

#24 Le espiazioni: blasfemia

La contraddizione degli atei e degli agnostici è quella di screditare chi crede in qualcosa. Non credere in niente o credere in qualcosa di completamente personale e unico, non dà il diritto di gettare fango sulle credenze di qualcun altro. La religione, la fede e la speranza sono tutti elementi in cui una persona ripone le proprie fragilità, chiedendo umilmente che vengano protette da qualcuno o qualcosa in grado di farlo. Perché chi riesce a farlo da sé dovrebbe avere il diritto di umiliare chi non non ce la fa?
Mark faceva parte di questa categoria di persone. Lui credeva in sé stesso. Lui credeva unicamente nelle proprie forze e nelle proprie capacità. Il suo non credere alle religioni lo portava automaticamente a criticarle pesantemente, dando discredito ai suoi seguaci.
Quel giorno in chiesa, al matrimonio di uno dei suoi migliori amici, non sopportava più l'eterna lunghezza della cerimonia. Era in piedi, in un angolo accanto ad una colonna portante, e sospirava sudando nel suo completo gessato.
"Bla, bla, bla e quindi bla", erano le uniche cose che riusciva a sentire oltre al calore asfissiante.
Dinanzi ai suoi occhi c'erano centinaia di persone timorate e piegate ad ascoltare. Lui non le capiva. Non riusciva a concepirle neanche lontanamente. Voleva scuoterle e farle riprendere, voleva riconsegnargli il lume della ragione che evidentemente avevano perso.
Su, ragazzi! Svegliatevi un po', cazzo! Chiudiamo qui questa farsa e andiamo a mangiare al ristorante. Sento di svenire per tutta la fame che ho!
La forza di chi crede in sé stesso è che qualsiasi situazione può affrontarla da sola. Nessuno però parla mai della debolezza che queste persone hanno. La fragilità di chi crede in sé stesso è che quando inevitabilmente non si riesce a fare qualcosa, ci si sente completamente inutili e falliti. L'autostima è dura finché non incontra una scarica di mitra.
Sospirò all'ennesima decantazione della misericordia e si grattò la schiena, dove aveva da poco fatto un nuovo tatuaggio. L'ala demoniaca che gli scendeva lungo la spina dorsale sembrava percorsa da miriade d'insetti scalpitanti. Un prurito inaudito, un prurito quasi interiore.
Gli girava la testa, ma sapeva che non poteva allontanarsi da lì. Lo sposo lo conosceva bene e ogni tanto si voltava a fissarlo. Aveva promesso di essere lì, se si fosse allontanato non glielo avrebbe perdonato mai.
"Può baciare la sposa", si sentì poi e la cerimonia finì poco dopo, accompagnati dal sollievo di Mark.
Nessuno si mosse però. Tutti restarono immobili.
Che stava succedendo? Perché nessuno andava via? La cerimonia era finita!
"Siamo qui riuniti oggi per celebrare l'unione davanti a Dio di..." e tutto riprese dall'inizio.
Si guardò intorno stralunato, venendo poi fissato nuovamente dallo sposo.
La cerimonia stava ripartendo da capo, senza che nessuno obiettasse o si opponesse.
Che diavoleria era mai quella?
Fu dopo che ricominciò la quinta volta, che Mark capì che quella cerimonia sarebbe durata per sempre.

"Questa è per la croce che ho tatuata sul viso", spiegò l'assistente si Solomon, sorridendo con i suoi denti aguzzi.
"Io sono agnostico, ma non scredito chi crede in qualcosa di religioso".
"Lo so", rispose. "Volevo solo farti capire che l'espiazione non significa unicamente che tu debba morire. A volte l'espiazione significa vivere per sempre nell'agonia...".

mercoledì 20 settembre 2017

#15 Le espiazioni: guardami sbranato

Si erano addormentati mano nella mano, felici e contenti. E si erano risvegliati con queste ultime ancora serrate. Magari in maniera più forte e violenta, ma sempre cinte tra loro.
Si erano assopiti in un luogo di una calura unica e confortante, con tanto di luci soffuse, profumi d'ambiente e coperte. E si erano risvegliati in una puzza tremenda ed un freddo micidiali. Le luci però erano ancora soffuse.
Si erano addormentati con entrambi un tatuaggio sull'avambraccio destro. Ora nessuno dei due lo possedeva più.
Si erano addormentati distesi su un letto, si erano risvegliati appesi a un gancio.
Sì, appesi a un gancio. Un gancio che gli si conficcava ad entrambi dietro alla schiena e si arpionava appena sotto le costole. Il sangue che era uscito era stato copioso, ma il freddo di quella cella frigorifera aveva interrotto il fiotto. Tuttavia la sensazione di dolore lungo la schiena e le ossa, come qualcosa che ti sta tirando via l'anima, era ancora vivida. E sembrava che lo sarebbe stata per sempre.
L'uomo era sveglio e la sua barba era ghiacciata. La donna dormiva e da un angolo della bocca le usciva un rivoletto di sangue marrone e secco. Avevano le dita incrociate e saldate insieme dal ghiaccio, ma i piedi di entrambi oscillavano immoti nel vuoto. Intorno a loro carcasse di animali scuoiati e puzza di carne marcia.
La ragazza si destò all'improvviso e cercò invano di agitarsi e capire cosa stava succedendo. Non riusciva ad urlare, come anche il suo fidanzato appeso accanto a lei. Erano impotenti ed algidi, neanche la più grande forza decisionale e di volontà avrebbe potuto aiutarli.
Da dietro gli animali morti e grondanti sangue, fuoriuscirono delle persone a loro sconosciute. Pallide, affamate, bramanti. Annusavano l'aria come cani in cerca di funghi e fissavano i due con ingordigia e appetito.
Aiutateci, cercarono entrambi di bofonchiare, senza nessun risultato.
Poi inaspettatamente, tutti gli furono addosso cominciando a sbranarli freddi ma vivi.

"Aiutare il prossimo è una delle più belle azioni che si possono fare", proruppe Solomon dopo un altro quarto d'ora d'incisione, accompagnato da un ulteriore racconto di vecchi clienti.
"Tuttavia nessuno si rende conto che il non farlo è un peccato veramente atroce e maligno. Non aiutare, mostrarsi indifferenti, agire da ignavi. Trasmette freddo e cattiveria verso chi invoca aiuto, ma soprattutto li fa sentire sbranati da lacerazioni esterne... che giungono fino al cuore e la mente".

sabato 26 agosto 2017

#1 Le espiazioni: annegamento da fumo

Solomon mi si avvicinò portando con sé un grosso raccoglitore pieno di fogli.
"Se non hai portato un'immagine con te, qua posso mostrarti varie versioni di cobra da poterti tatuare".
Afferrai il librone e mi parve che pesasse centinaia di chili. Me lo poggiai sulle gambe, sentendo le ossa e le articolazioni lamentarsi per il dolore. Cominciai a sentirmi confuso e leggermente rintontito, e questo mi portò a focalizzarmi su uno dei tattoo che l'uomo aveva sul bicipite destro.
"Cos'è quella nuvoletta spumosa e brumosa che hai? Sembra viva, lucida e irreale", domandai incuriosito e rapito dall'immagine.
"Sicuro di volerlo sapere?".
"Sì", mi ritrovai a rispondere senza neanche averne la consapevolezza.
"Beh...", cominciò lui.

Stu era un uomo di quarant'anni, pelato e con gli occhiali. Lavorava in ufficio senza sosta stressandosi dalla mattina alla sera e passava poco tempo con la propria famiglia. Non aveva mai fatto mancare niente ai suoi cari, se non la propria presenza. Era però giustificata quest'ultima e quindi nessuno osava rinfacciarglielo in qualche modo. Chi d'altronde avrebbe potuto?
Stu aveva un simpatico vizio, in fondo ogni uomo ha il proprio... c'è poco da fare. A Stu piaceva fumare, a Stu piaceva fumare un sacco. Consumava in effetti circa quaranta sigarette al giorno e non desiderava altro se non l'inizio di una nuova giornata per poterne fumare altre quaranta. Non ne poteva fare a meno, anche se gli effetti erano visibili, considerato l'affanno costante che si trascinava dietro da anni. 
Quando decise di farsi un tatuaggio, il nome di Solomon gli capitò davanti agli occhi per caso. Un post sponsorizzato su Facebook apparì dal nulla sulla home che saltuariamente faceva scorrere.
I tattoo di Solomon non si pagano, i tattoo di Solomon sono gratuiti. L'artista però esige un altro tipo di prezzo da te. Dovrai fronteggiare i tuoi peccati, ammetterli ed espiarli. Altrimenti i peccati espieranno te.
E così era corso a farsi un tatuaggio, una roba da poco, una roba scontata. Un piccolo laghetto al tramonto con un colibrì. Adorava i colibrì, era una delle specie animali che lo affascinava di più. La velocità del loro battito d'ali, il poter restare sospesi ad aspettare... ad osservare. Una velocità che lui non aveva più da molto tempo ormai, a causa di quel dannato affanno.
Quando uscì dallo shop con il disegno nero sul petto, si rese conto che in effetti non gli aveva fatto per niente male. Anzi, si sentiva stranamente bene, rilassato, come se si fosse tolto un peso dallo stomaco.
Decise di fumarsi una sigaretta, per cui si fermò sotto un albero e cavò il pacchetto dalla tasca. Ne prese una, l'avvicinò alla bocca e l'accese inspirando una profonda boccata. Il sapore che sentì fu però di sangue.
Sangue. Sangue. Sangue. Dentro di sé una fontana in piena sgorgava e riempiva gli anfratti. Emetteva e s'infiltrava in ogni orifizio ed insenatura. Il sangue si muoveva come mille serpenti e annegava qualsiasi cosa ci fosse da annegare. Il sapore metallico che sentiva nei polmoni era così intenso che sembrava avergli permeato il cervello. Tossì, tossì pesantemente, ritrovandosi un grumo di sangue sulla mano. Si spaventò ed alcune lacrime gli riempirono gli occhi. Cominciò a vedere rosso, perché quello che piangeva erano lacrime sangue.
Un'ombra si stagliò all'orizzonte, sfocata ed indistinta. Lo fissava accecandolo con il tramonto alle sue spalle e restava in attesa come un colibrì pensante. Stu si strappò la camicia e notò che il suo tatuaggio non c'era più, era svanito. Ma perché? Come mai?
Prima che potesse rispondere a tutto questo, il sangue interiore aumentò e il suo tossire anche. E Stu svanì come una nuvoletta di fumo perché non aveva ascoltato le parole di Solomon.
Non aveva espiato il peccato che avrebbe dovuto.

giovedì 24 agosto 2017

#0 Le espiazioni: tatuarsi un'anima

Andai a fare un tatuaggio da un uomo chiamato Solomon, poiché tutti i miei amici avevano già usufruito dei suoi servigi. Era un uomo riservato, misterioso e ricoperto di tattoo dalla testa ai piedi. Il suo stile non era uno stile comune. Al di là dell'assurdo realismo che imprimeva nelle sue creazioni, i tatuaggi che sfoggiava sul proprio corpo erano impressionanti e spaventosi. Un miscuglio caotico di qualcosa che nessuno avrebbe mai potuto capire.
Mi presentai all'appuntamento circa un'ora prima, fermandomi lungo il marciapiede a fumare una sigaretta. Poche persone camminavano per la via, mentre il sole si attardava a raggiungere l'orizzonte. Era pomeriggio inoltrato e un cielo limpido sovrastava quelle strade malfamate.
Entrai nel negozio soltanto dopo aver calpestato la cicca con il tacco della scarpa e comunicai alla ragazza della reception che avevo prenotato una seduta. Lei mi disse che potevo tranquillamente entrare in stanza, visto che non c'erano altri clienti e Solomon era all'opera su sé stesso in attesa di qualcuno.
Varcai la soglia senza pensarci più di tanto e respirai lo stantio odore di pareti non arieggiate ed inchiostro fresco. Mi girò la testa e mi appoggiai alla parete per un secondo. Solomon era lì, a torso nudo, piegato su una sedia si percorreva il ginocchio con l'ago di una macchinetta per tatuaggi, calcando quello che forse era un vecchio disegno, anche se  non avrei mai potuto essere sicuro circa il fatto che fosse o meno un tattoo nuovo.
"Accomodati", mi ordinò senza distrarsi dalla sua operazione.
"Cosa si sta tatuando, se posso chiedere?", domandai, cercando di scorgere un senso a tutte quelle linee e quegli arabeschi che gli circondavano il ginocchio e la gamba. Da solo non ci riuscivo minimamente, anche perché l'inchiostro era strano e troppo irreale. Quei disegni erano lucidi e pulsanti, come se racchiudessero qualcosa sotto la pelle. Erano gonfi come ferite, gonfi come ogni tattoo appena fatto.
"Un'anima", rispose secco, continuando il proprio lavoro.
Lo fissai interdetto, pensando a come si potesse disegnare un'anima, per cui decisi di aspettare e vedere il risultato finale.
"Cosa vuoi tatuarti?".
"Un cobra".
"Di che grandezza?".
"Una quindicina di centimetri".
"Dove?".
"Sul braccio destro".
"Perfetto" e si alzò in piedi smettendo di disegnare su di sé. Il risultato finale era una sfera nera, lucida e gonfia che pulsava e perdeva un po' di sangue. Mi fece impressione fissarla, ma non potei farne a meno.
"Come mai i suoi tatuaggi sono diversi da quelli che vedo sulle altre persone? Usa una tecnica particolare e sconosciuta per sé stesso?".
"No, non è così complesso. I miei tattoo, a differenza di quelli degli altri, non guariscono. Non guariscono mai, affinché io possa sempre ricordarmi di loro e della loro presenza", spiegò sorridendo in maniera macabra e facendomi rabbrividire.
"Come sarebbe a dire?", domandai spaesato e confuso.
"Io non prendo soldi per tatuare le persone. Chi vuole uno dei miei lavori, deve espiare poi i propri peccati. Chi non è avvezzo a tutto questo, muore ucciso dalle proprie colpe e io sono costretto a tatuarmi per sempre e dolorosamente la sua anima. Un tatto inguaribile che non permette a me di dimenticare la vita che ho stroncato".
E a quel punto impallidii, venendo stritolato dalla consapevolezza che quell'uomo di nome Solomon forse un uomo non era.

giovedì 6 luglio 2017

#11 Savior: gatti

Viveva da solo praticamente da sempre, e mai se n'era lamentato con qualcuno.
Era figlio unico e i suoi, che vivevano lontanissimi dalla propria famiglia, erano morti quando era ancora un ragazzino. Nessun parente era andato a prenderlo, nessuno si era fatto carico di lui. La responsabilità sarebbe stata troppo grande. Con l'aiuto dell'eredità dei suoi parenti defunti aveva vissuto ed era cresciuto in un istituto. Raggiunta la maggiore età era ritornato a casa, cercando di impugnare il proprio destino.
"Blinky, vieni! Sto riempiendo la ciotolina! Anche voi tre, venite su!", annunciò ai suoi quattro animaletti pelosi, agitando la scatola dei croccantini nei pressi delle scodelle di plastica.
I miagolii si alzarono incessanti e lui fu sommerso dalle fusa e dai peli di ognuno di essi. Amava i suoi gatti, erano l'unica reale compagnia che aveva.
Con l'immensa fortuna economica avuta dai genitori, piazzava degli investimenti in borsa. Utilizzava siti di acquisto e vendita di prodotti online, per comprare le cose, e chiamava il supermercato vicino per farsi consegnare la spesa. Non usciva mai, non vedeva nessuno, non aveva amici reali oltre ai gatti.
Ultimamente però capitava una cosa molto strana all'interno della sua abitazione. Avvertiva dei rumori, percepiva degli sguardi strani e i suoi gatti erano molto più tesi e reattivi del solito. Teneva sempre le luci accese, ma continuavano a fulminarsi. Tant'è che aveva cominciato ad accumularne un bel po' per non restarne sprovvisto.
I suoi gatti cominciarono a portare cose morte in casa, di punto in bianco visto che mai avevano fatto una cosa simile. Topolini, lucertole, scarafaggi. Un giorno gli portarono addirittura un dito umano, ma non gli diede troppo peso.
Quando dopo due settimane di totale isolamento, il postino bussò per recapitargli una missiva, la porta era aperta.
C'era una puzza tremenda, rivoltante. Senza nessun apparente motivo, entrò nell'abitazione. Quello che vide fu schifoso quanto spaventoso.
I gatti giocavano tra loro, lanciandosi una grossa palla con le zampe. Correvano avanti e indietro e la sfera sporcava tutta la pavimentazione. Era una testa. Una testa decapitata e insanguinata.
Con loro c'era anche il padrone di casa, decapitato ovviamente. L'unica cosa era che stava giocando anche lui, producendo uno strano miagolio dal collo esposto. Era diventato come loro. Era diventato loro. Era un gatto.
Quell'uomo era morto da sempre, solo che mai se n'era reso conto.

"Perché ci hai raccontato questa storia?", chiese Lizzy al parassita.
"Perché anche i gatti sono mietitori".