martedì 30 maggio 2017

#11 Horror Club: l'amante addolorata

Non voglio farle delle domande indiscrete, ma lei ha notato qualcosa di strano nel suo ragazzo in questo periodo?
Qualcosa di strano? Del tipo?
Non so, nervosismo, irrequietezza. Magari delle manifestazioni di comportamenti violenti.
Stesa di fianco a lui ripensava alle domande che il detective le aveva posto. Lui dormiva beatamente al suo fianco, mostrandole una schiena bianca e pallida con alcuni nei nerastri. Respirava sommessamente. Le luci blu psichedeliche della stanza stonavano più dell'erba che avevano fumato. Era la prima volta che si rendeva conto dell'assenza delle finestre. Il fumo come faceva ad evadere da quel posto se la porta la tenevano sempre ben chiusa?
No, è sempre stato lo stesso da quando ci siamo messi insieme. Lavora, passiamo del tempo insieme, usciamo, scopiamo. Le solite cose. Non succede mai niente di nuovo o di diverso nella nostra vita.
Ne è sicura? Non gli ha mai visto addosso dei segni di colluttazione? O del sangue magari? In casa sua ha mai visto un tubo di ferro? Un tubo da lavandino?
No, mai visto niente di simile. Penso che avrei chiamato la polizia se mai fossi incappata in qualche stronzata del genere.
Eppure il tubo lui lo aveva sempre con sé, non se ne separava mai. Quando non uscivano, lo teneva poggiato su di un lato del letto, a portata di mano. Se invece abbandonavano la stanza, lo metteva sul proprio cuscino. Il tubo da lavandino era il suo orologio da polso. Lo lucidava, lo puliva, lo lavava. A volte comprava della vernice per pitturarne i punti in cui aveva preso qualche colpo violento. Lei non sapeva il motivo per cui fosse inseparabile da quell'oggetto, non sapeva neanche per cosa lo usava. Spesso era capitato che lo adoperasse per scoparla, come un vibratore manuale. La lubrificava e piano piano glielo spingeva dentro. Quella sensazione di freddo e di durezza le piaceva. Lui riusciva a farlo muovere con delicatezza su e giù, dentro e fuori. E la faceva venire piacevolmente. Non c'era niente di strano. Forse morboso, ma non violento o strano.
Se dovesse accadere qualcosa o se dovesse notare una qualsiasi anomalia sospettosa, la prego di chiamarmi. Non voglio allarmarla, ma forse lei convive con uno spietato serial killer.
Okay, vi terrò aggiornati.
Aveva tenuto quel biglietto da visita, senza farne parola con lui. Non voleva allarmarlo, non voleva che si spaventasse. Lei non aveva detto niente di compromettente, se mai ci fosse stato qualcosa da compromettere.
Si svegliò di soprassalto, afferrando al volo il tubo da lavandino come per difendersi da un nemico. Non c'era nessuno tranne la sua amante. La fissò con dolcezza. Lei non sapeva che lui era a conoscenza di quell'incontro con la polizia, di quell'incontro col detective che gli stava alle calcagna. La bacio sulle labbra, le leccò il collo e con malizia le passò la spranga sulle gambe. Le sfilò le mutandine, le fece allargare le cosce e come di consueto le infilò il tubo di ferro nella vagina, placidamente, lussuriosamente.
"Un testimone in meno è una bocca mancante che può confessare" e con un violento scattò spinse il tubo dentro, arrivando a perforarle addirittura lo stomaco. Il sangue addolorato riempì l'intero letto, più delle urla stesse.

L'uomo con la cicatrice bluastra si guardò intorno una volta terminata la sua terza storia. Sembrava toccato, commosso dalle sue stesse parole. Il fatto che narrasse racconti biografici stava prendendo più consistenza che mai, difatti pareva che avesse chiaramente esposto l'omicidio della sua donna. Era lui il serial killer del tubo da lavandino? Quante persone aveva ucciso prima di entrare in quella stanza con noi? Era lui il fondatore di questo Club? Perché darci le pillole?
Considerando poi gli effettivi poteri che stavamo acquistando e le ultime storie raccontate, sovvenivano anche altri quesiti. Aveva raccontato questa storia poiché già accaduta oppure lo aveva fatto per uccidere narrativamente la sua ragazza cosicché non parlasse col detective? Non aveva preso tablet né fatto dirette, come potevamo mai capire che fine aveva fatto quella donna? Il detective sarebbe morto nei prossimi racconti o sarebbe riuscito a fermare il serial killer del tubo?
La ragazza dell'eterocromia si alzò in piedi...

martedì 23 maggio 2017

#5 Horror Club: la macabra casa

Se potessi cambiare le cose, tu non faresti altro che fare ciò che va fatto.
Non ricordava dove aveva sentito questa frase. Un film? Un libro? Una canzone? Una poesia? Dove? E fondamentalmente cosa significava? Era una giustificazione a qualcosa? Agli errori? Agli errori degli altri?
Si lavò le mani nel lavandino della cucina, si buttò una spruzzata gelida in faccia, cercando di capire cosa fare.
La famiglia felice è quella che vive in una grossa casa che tutti amano e tutti invidiano, dove le persone vogliono essere invitate costantemente a cena. La famiglia felice è quella che va al parco con le famiglie amiche, quella che va alle feste cittadine con tutti i vicini, facendo sfoggio dell'educazione dei propri figli. La famiglia felice è quella che falcia il prato e mangia in giardino d'estate.
La famiglia felice non è quella che punisce la figlia non ancora maggiorenne che passa la notte fuori tornando ubriaca e senza mutandine. La famiglia felice non è quella dove il fratello maggiore rinchiude nell'armadio per sei ore il minore della casa. La famiglia felice non è quella che compra gli alcolici al padre di famiglia che poi picchia la moglie. La famiglia felice non è lo stupro quotidiano dell'immagine che gli altri si sono fatti di essa .
Guardò fuori dalla finestra, scorgendo la luna dietro una manciata di nuvole bluastre. C'era silenzio, c'erano orologi fermi, c'era ancora sangue sulle sue dita tremanti. Si gettò altra acqua sul volto. Doveva togliersi quei vestiti, doveva fuggire, doveva dare fuoco a tutto. Doveva dimenticare cosa cazzo era successo tra quelle maledette e stupide mura.
Suo padre che spacca la bottiglia in testa a sua sorella, sua madre che piange in un angolo. Suo padre che si slaccia la cinta e lega suo fratello maggiore. Suo padre che prende la pistola. Suo padre che comincia a sparare senza alcuna ragione. Il sangue che schizza con le cervella. Lui che piange sotto al tavolo. Nessuno si è accorto di lui tranne sua madre. Sua madre che gli dice di fuggire ora. O adesso o mai più.
Lui che corre e si ferma di colpo vicino al lavandino.
Se potessi cambiare le cose, tu non faresti altro che fare ciò che va fatto.
Ecco dove aveva sentito quella frase. Dal lavandino. Da quel lurido lavandino aveva sentito proferire quelle parole.
Lui che sgrana gli occhi, lui che afferra un coltello, lui che taglia la gola a suo padre.
Il lavandino che ride.
Tardi. Tutto troppo tardi. Suo padre aveva già ucciso tutti...

La voce dell'ultimo narratore non era una voce qualunque, non era una voce normale. Si alzò in piedi e la sua figura fu completamente illuminata dalla luce della candela. Indossava un grandissimo impermeabile verde militare che si sfilò mostrando una stazza deforme. Era pallido, ingobbito, il volto ustionato, protuberanze carnose. Le labbra erano sottilissime e i denti affilati. Raggelarono tutti dopo averlo osservato ed aver associato quella voce roca e maligna a quella figura.
Io non potei fare a meno di pensare ad un vecchio amico di famiglia. Un contadino nostro vicino di casa che, sapendo della mia passione per l'horror, mi aveva raccontato una vicenda che gli era capitata in passato (#16 Paure dell'uomo: Fuggiasco). Sembrava lui, pareva l'uomo spaventoso di quel racconto. Non potei fare a meno di pensarci.
Dopo poco si sedette e tutti ripiombammo nel buio. Cosa sarebbe accaduto adesso? Ma prima che potessi rispondere, l'uomo dalla cicatrice bluastra si alzò in piedi. Era pronto a parlare e tra le dita stringeva qualcosa di strano...

domenica 21 maggio 2017

#3 Horror Club: videogame

Comprai quel videogame horror su una bancarella abusiva per strada. Costava soltanto 92 centesimi e la sua copertina era veramente inquietante. Nera, macchiata da sangue scuro e rappreso, occhi infuocati che ti scrutavano dal buio, denti aguzzi con della bava verde. Non c'era scritto il nome del gioco e neanche chi fossero i produttori e i creatori. Essendo un esperto di quest'ultimi, trovai strano il fatto di ignorare completamente l'esistenza di quel prodotto. Pagai dunque più per curiosità che altro e il venditore fu grato per il mio acquisto. Chissà che razza di indie mi sarei ritrovato per le mani.
Tornai a casa, accesi il mio pc ed inserii il disco. Durante il tempo d'installazione chiusi le tende della mia finestra e spensi le luci. Attaccai lo spinotto delle mie cuffie e mi portai dinanzi allo schermo.
BENVENUTO. SE PER CASO TU FOSSI UNA PERSONA FACILMENTE IMPRESSIONABILE, FARESTI MEGLIO A SPEGNERE QUESTO MALEDETTO COMPUTER. SAREBBE COMUNQUE TARDI, MA POTRESTI SALVARE QUALCOSA DI TE STESSO.
Cominciavamo bene. Quella scritta mi incuriosiva tremendamente. A volte gli indie, senza nessun tipo di limitazione, contengono delle genialità che passano inosservate ai molti.
SE SEI ANCORA QUI, VUOL DIRE CHE ANCORA DEVI COMPRENDERE A PIENO LA TUA PAZZIA.
E poi il gioco partì, inaspettatamente, in maniera diretta, senza dover passare per schermate di avvio in cui poter settare opzioni, difficoltà, salvataggi, caricamenti. Il personaggio era alto e snello e indossava dei vestiti anonimi, stile casual. Si trovava in piedi in una strada di città completamente deserta, in prossimità di un vicoletto. Avanzai, guardandomi prima intorno nel caso in cui apparisse qualcosa o qualcuno alle mie spalle, e svoltai nella piccola stradina. C'era una bancarella abusiva, con un uomo identico a quello da cui avevo comprato il gioco. Attorno a lui vigeva un'aura bluastra, maligna, che mi invitava a combattere. Mi avvicinai con lentezza, rabbrividendo nella realtà. La bancarella non aveva nient'altro che teste esposte. Tantissime teste, un'infinità! L'uomo non aveva pupille e rideva perdendo bava verdastra, senza accorgersi di quanto sangue colasse a terra inzuppandogli i piedi. Sentivo la puzza di morte, anche davanti al pc.
E poi il gioco mi spense la mente e cominciò a giocare con me.
Non ricordo molto di quello che accadde. Né all'interno del gioco né all'interno della realtà.
Uccisi il venditore, gli tagliai la testa e con le mani sporche del suo sangue rimisi il gioco nella custodia, lasciando che quel liquido rosso si seccasse su di essa.
Il giorno dopo ero nel vicolo e vendevo la copia del gioco abusivamente, così ... a 93 centesimi ...

Fui io a raccontare quella storia, dopo che la ragazza con l'eterocromia si era riposizionata sulla poltrona. Mi era parso che fino a quel momento ognuno di essi avesse raccontato una storia vera, esponendo poi una parte di sé alla visione dell'altro. L'uomo dalla cicatrice blu aveva bevuto il sangue di quell'essere superiore e buono? La ragazza aveva sequestrato una giovane per soldi? Cos'era stato quel tic che le aveva fatto schioccare il collo? E poi c'entrava con la sua stranissima eterocromia?
Raccontai quella storia perché non volevo parlare delle mie cicatrici sulla schiena (#24 Paure dell'uomo: Bestia), cercando però di tenere alto il livello di tensione. Eravamo lì per una ragione, eravamo lì per regalare il vero orrore al mondo. Quelle persone mi spaventavano, dunque cercavo di non espormi troppo sebbene volessi far parte attivamente del gruppo. E poi, a dirla tutta, le mie mani sembravano ancora sporche del sangue di quel venditore abusivo, quindi perché non parlarne?

giovedì 18 maggio 2017

#1 Horror Club: i veri peccati

La tv era accesa e il suo formicolio crepitante rischiarava lievemente il buio della stanza. Stringevo tra le dita un bicchiere di scotch e fissavo sul tavolinetto una bottiglia di plastica con del liquido blu.
Nella vita ci focalizziamo sulle nostre azioni, come nessun'altra specie animale. Pensiamo a cosa vogliamo fare, a cosa dobbiamo fare, a cosa desideriamo assolutamente fare. In tutto questo ci lasciamo limitare da quelli che consideriamo peccati, quelle azioni che non andrebbero commesse poiché malvagie o punibili dalla legge. C'è chi se ne frega e persiste, e c'è chi si ferma e desiste. Ma quali sono questi peccati? Quali sono i veri peccati? Uccidere? Rubare? Stuprare? Quali sono i peggiori? Quali sono i veri?
In quel bosco, quella mattina, avevamo trovato qualcosa che nessuno mai si sarebbe aspettato di vedere. In quella passeggiata nella natura avevamo sentito all'improvviso un pianto di un bambino, un pianto strano, innocente, distorto. Un vagito soave, un vagito tonante. Così ci eravamo fermati, avevamo teso le orecchie e avevamo frugato tra i cespugli. Un bambino. Piccolissimo. Candido. Con due piccole protuberanze di carne sulle scapole. Lì per lì, pensammo fosse tutto uno scherzo, magari un prank organizzato da qualche canale youtube. Ci guardammo intorno, ma non c'era nessuno. Cos'era un angelo? Un incrocio tra l'uomo e un uccello? Il risultato di qualche esperimento? Un messia? Se ce lo fossimo tenuto, quante persone ci avrebbero creduto? Quante tv avrebbero voluto specularci sopra? La verità è che nel mondo ogni tanto appare qualcosa di buono, ma questo posto marcio non è mai pronto per accoglierlo.
Prendemmo i coltelli, quelli che avevamo portato per abbattere i rami che ci avrebbero ostacolato il cammino, e senza pensarci due volte recidemmo le piccole protuberanze del bambino. Nessuno di noi si aspettava che cominciasse a sgorgare sangue blu. Nessuno di noi si aspettava che l'urlo agghiacciante del pargolo cominciasse ad incendiare gli alberi vicino. Ci spaventammo, le protuberanze erano vere. Il bambino strillava dolore infuocato.
Gli piantammo un coltello nel petto. Per zittirlo. Per metterlo a tacere. Per non rischiare che il suo pianto uccidesse noi e distruggesse tutto. Con prontezza usammo le nostre bottiglie d'acqua per raccogliere tutto il sangue possibile, poi gettammo il corpo nel fuoco. Una fiamma blu si alzò nel cielo e il cadavere minuto si polverizzò all'istante. Non era umano. Forse neanche divino o demonico. Era qualcosa di oltre. Qualcosa di buono. Qualcosa di inspiegabile.
Tornammo a casa, ognuno con la sua porzione di sangue blu.
Sul tavolo c'era la mia. Cosa ne dovevamo fare? Venderla? Farla analizzare? Le leggende hanno migliaia di possibilità riguardo l'utilizzo del sangue, per cui io pensai ad una di questa. E senza capire la grandezza del mio peccato, bevvi il sangue blu...

Quando finì di raccontare la sua storia, il primo scrittore nero poggiò di nuovo la candela sul tavolo, andandosi poi a sedere su una poltrona libera. Noi tremavamo guardandolo, la sua cicatrice blu sulla guancia brillava iridescente...

mercoledì 17 maggio 2017

#0 Horror Club: i cinque scrittori neri

IL MONDO HA BISOGNO DI HORROR.
Questo era il messaggio che ognuno di noi aveva trovato nella homepage di quello strano sito web. Ci ero incappato per caso, un sito apparso dal nulla, una pubblicità qualunque apertasi da un website di film horror in streaming. Non avevo chiuso subito la finestra e avevo letto il messaggio, lasciandomi ammaliare dalla grafica spettrale. Alberi in nero, illuminati da flash di fulmini, foglie che volavano via come pipistrelli screziati, rumore di pioggia, caratteri rossi insanguinati.
TU SEI L'ULTIMO DELLA CERCHIA.
TU SEI STATO SCELTO PER 
L'HORROR CLUB.
Poi mi era arrivata di colpo una email, una email ancor più bizzarra del sito stesso, sebbene quest'ultimo ne fosse il mittente. Ancora mi chiedo come sia stato possibile riuscire ad entrare in possesso della mia casella postale elettronica.
Mi avevano dato un indirizzo ed un orario. Mi avevano ripetuto che il mondo aveva bisogno di Horror. Mi avevano detto che saremmo stati in otto. Otto persone, otto narratori, otto scrittori in grado di regalare al mondo la paura, lo spavento, il terrore. Aggiunsi ai quesiti irrisolti il come sapessero che io fossi uno scrittore di horror, in fondo non penso che tutte le persone che guardano quel genere di film siano anche autori del suddetto.
La situazione mi aveva inquietato ed affascinato allo stesso tempo. Escludendo la possibilità che fosse semplicemente un tentativo di hacking, non c'era nulla di male a dare un'occhiata a quell'appuntamento. Così ci andai.
Non era molto distante da casa mia, per cui a piedi raggiunsi il posto. Era una vecchia casa in disuso, con il cartello di vendita ammuffito e caduto sul giardino di erbacce. Sembrava pericolante anche, oltre che infestata. Mi guardai intorno prima di entrare, per vedere se ci fosse qualcuno in arrivo o se ci fosse qualcosa di strano. Nulla. Gente che passeggiava in un tiepido pomeriggio.
L'interno della casa era buio e impolverato, un odore stantio si spandeva praticamente dappertutto sottolineando l'assenza umana con grosse e grigie ragnatele.
"C'è nessuno?", dissi, sperando di ottenere qualche tipo di risposta.
"Accomodati", replicarono. Voci atone provenienti da una porta lungo il corridoio.
Avanzai, impaurito ed eccitato allo stesso tempo, afferrai il pomello d'ottone ed entrai in quello che doveva essere il soggiorno. La stanza era buia, rischiarata dalla fiammella di una singola candela. Le finestre erano state inchiodate con assi di legno e la mobilia coperta da teloni bianchi. C'erano quattro persone oltre a me. Tre sedute ed una in piedi. Riuscivo a scorgere a malapena i tratti dei loro volti.
Mi accomodai. Nessuno parlava, per cui mi sedetti e gettai un occhio in giro. Non c'era nulla da vedere, a parte l'oscurità, le quattro losche figure e l'atmosfera macabra.
"Siamo qui. Noi cinque soltanto. Non saremo otto. L'Horror Club sarà composto soltanto da noi. Il mondo ha bisogno di horror e noi saremo coloro che glielo fornirà", annunciò quello in piedi, girando attorno a noi, per poi fermarsi e raggiungere il tavolo con la candela.
L'afferrò, la sollevò e l'avvicinò al viso, mostrando un volto adulto con una cicatrice sulla guancia sinistra, una cicatrice bluastra. I suoi occhi neri erano profondi, i capelli in disordine.
"Qui... noi racconteremo le storie più spaventose che siano mai state raccontate...".
E così che nacque il famigerato e ricercatissimo Horror Club, il club dei cinque scrittori neri, dei cinque assassini con la penna...
Dovevamo raccontare storie, dovevamo regalare l'orrore. Noi eravamo i narratori oscuri, coloro che promulgavano le paure. Non ci volle molto prima che la situazione ci sfuggisse di mano, prima che acquistassimo un potere ultraterreno, prima che cominciassimo a realizzare realtà immonde per la gente...

martedì 16 maggio 2017

#30 Paure dell'uomo: alluce del piede

Rientrato a casa dalla scuola, ricordo che mi facevano malissimo i piedi. Un dolore atroce, allucinante, manco avessi trascorso le sei ore scolastiche senza sedermi.
Mia madre ancora doveva rientrare da lavoro e mio padre sarebbe rincasato direttamente per l'ora di cena. Per cui andai in bagno, calciai via le scarpe e i calzini e mi sedetti sulla tazza. Mi sentivo sfinito, afflosciato, e quel giorno non avevamo nemmeno fatto educazione fisica.
Stavo proprio per alzarmi in piedi, dopo aver terminato il mio bisogno, che notai una piccola macchia nera sul bordo di un'unghia. Si trattava dell'alluce del piede sinistro, dove avevo un'unghia non troppo lunga. Inizialmente pensai che fosse dello sporco ma poi mi accorsi che avevo indossato calzini azzurri, e la macchia era nera.
Non ci badai più di tanto comunque, infatti uscii dal bagno portandomi dietro il tagliaunghie per liberarmi del misfatto. Mi accomodai sul divano, tirai su il piede e lo poggiai sull'altra gamba. Cercai di togliere con le dita lo sporco, ma non veniva via. Era come inchiostro, come se la mia unghia fosse pitturata dal basso.
Non ti tagliare le unghie troppo sotto che poi ti fanno male le dita!
Mia madre lo diceva sempre e puntualmente tagliavo le unghie molto poco per non rischiare. Quella volta però dovevo tagliare un po' più sopra, altrimenti non avrei eliminato tutto lo sporco. Arrivai alla giusta altezza con le lame e strinsi. L'unghia fu tagliata e cadde a terra. Problema risolto. Ne restava solo un po', sporgente da un piccolo frammento irregolare di unghia. L'afferrai con due dita e tirai. Mi si staccò il dito del piede.
Sì, proprio così. Mi si staccò il dito. Cadde via, come se fosse stato incastrato alla giuntura e non unito. Come un pezzo di lego viene separato dall'altro, il mio dito venne via. Lo vidi ruzzolare a terra con un rumore flaccido, senza sporcare. Non usciva sangue, non sentivo dolore. Mi si era staccato il dito, tanto che riuscivo a vederne i filamenti bianchi dei tendini e quelli violacei delle vene, oltre che la cartilagine e l'osso, ma non usciva sangue. Il dito caduto in terra sembrava tutt'altro che cadaverico o in cancrena. Si era semplicemente staccato.
Urlai dallo spavento, e maledissi me stesso per non essermi tenuto quella macchia sotto l'unghia. Cosa mi era saltato in mente? Cosa avevo intenzione di fare? Mia madre mi avrebbe ucciso! Mi ero staccato il dito del piede! Non mi avrebbe mai perdonato per aver fatto una cosa simile! Ma poi ... come era stato possibile? Come glielo avrei giustificato? Come glielo avrei spiegato? Cosa avrei detto alle persone e a tutti? Ho perso il dito? Si è staccato mentre lo pulivo! Chi mi avrebbe mai creduto?
Cominciai a respirare a fatica, venendo colpito da forti palpitazioni e da una tremenda tachicardia. Mi sentivo morire. Sudavo freddo. Sudavo caldo. Avevo i capogiri. Cosa dovevo fare? Chiamare mamma? Chiamare un'ambulanza? Prendere il dito da terra e riattaccarlo?
Lo guardavo a terra spaventatissimo, come se fosse un occhio dalla sclera rossa e la pupilla bianca. Sembrava osservarmi, scrutarmi, giudicarmi. Sembrava essere la prova dei miei errori. Quando quella volta ho trasgredito, quando quell'altra volta ho esagerato, quando quell'unica volta ho reagito male. Queste cose erano racchiuse in quel dito, in quella macchia nera che si era divisa da me.
Bussarono all'improvviso alla porta ed io, per la paura, svenni sul colpo.
Quando mi risvegliai, mia madre era in cucina ed io ero sul divano. Avevo ancora il dito attaccato al piede, ma sull'unghia c'era la macchia nera...

mercoledì 3 maggio 2017

#22 Paure dell'uomo: segreti

Abbiamo tutti dei segreti. Ognuno di noi, nessuno escluso. Possiamo far finta di ignorarli, possiamo non dargli peso accantonandoli tra i vecchi ricordi, possiamo addirittura disprezzarli. L'unica cosa che non possiamo assolutamente fare è dimenticarli.
Sono uno sfasciacarrozze. Per guadagnarmi da vivere, io faccio a pezzi le auto, i camion, le moto, i frigoriferi e tanti altri tipi di ferraglia e rottami. Ho dei macchinari possenti, distruttivi, che ho pagato tantissimi soldi, i quali soddisfano il desiderio dei miei clienti di distruggere i loro vecchi possedimenti. C'è un certo gusto nel fare questo mestiere quando si possiede un'azienda propria. La fondai io, ereditando il terreno su cui allestire il tutto da un mio vecchio zio malato. Avevo messo da parte delle finanze per comprare una casetta, ma essendo scapolo decisi di investirli nella mia attività. La migliore scelta della mia vita. Anche se a volte ho dei rimpianti, è soltanto uno il segreto che porto con me.
La macchina arrivò alle due di notte, ed io ero ancora nell'ufficio della mia azienda sommerso da alcune scartoffie che dovevo compilare entro l'indomani. La vidi al chiaro di luna, mentre veniva parcheggiata nello spiazzale sterrato del mio ingresso. Vi scese un uomo alto, robusto, dal volto scuro, il quale posò una lettera sul cofano ed andò via a piedi, inoltrandosi nella notte. Mi parve stranissimo come avvenimento, per cui mi alzai in piedi e andai a controllare.
Il biglietto era in realtà una busta per le lettere, e la busta per le lettere conteneva cinquemila dollari. Lì per lì non capii cosa stava succedendo. Un auto abbandonata nel cuore della notte. Soldi. Anonimato. C'era qualcosa che non andava, qualcosa di losco.
Guardai in auto e non vidi nulla, per cui mi diressi ad aprire il portabagagli. C'era un uomo. Stordito, nudo ed imbavagliato, il quale faceva una fatica tremenda nel respirare. Era debole, per cui gli tolsi il fazzoletto dalle labbra. Lui mi fissò incredulo e mi implorò di non ucciderlo.
"Ucciderti? Sono lo sfasciacarrozze, perché dovrei ucciderti?".
"Quegli uomini mi hanno preso, sapevano dei soldi, e sapevano che non glieli avrei mai dati. Mi avranno portato qui per una ragione. Chiama la polizia e controlla se sotto al motore c'è ancora il pacco".
Lo fissai incredulo, spaventato. Mi trovavo in una situazione impensabile e stentavo addirittura a crederci. Ma cosa stava succedendo?
Non lo liberai comunque, non mi fidavo ancora. In fin dei conti poteva essere anche un assassino lui stesso. Andai al lato anteriore dell'auto e sollevai il cofano. Facendo attenzione, infilai la mano sotto al motore e prelevai un ingombrante pacchetto di plastica. Erano centomila dollari. Centomila ... assurdi ... dollari ...
La situazione mi fu chiara. Quell'uomo aveva dei soldi, per un motivo non sicuramente legale. Altri uomini volevano impossessarsene, per cui lo avevano sequestrato. Tuttavia, visto che l'uomo non collaborava, avevano trovato il modo di ucciderlo senza esserne mai rintracciati, ovvero portarlo da me, in modo tale da toglierlo di mezzo e continuare la ricerca dei soldi senza intralci. Mi pagavano cinquemila dollari per ucciderlo.
Tornai sul lato posteriore e lo guardai. Mi pagavano cinquemila dollari. Nessuno però sapeva dei centomila che avevo trovato, visto che lui non aveva aperto bocca. Nessuno sarebbe venuto a chiedere di lui.
"Aiutami...", disse, tentando di alzarsi ed uscire dal portabagagli.
Lo spinsi in fondo e richiusi il portello. Pochi minuti dopo, sfasciai l'auto con il mio segreto dentro...