Visualizzazione post con etichetta peccati. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta peccati. Mostra tutti i post

mercoledì 20 settembre 2017

#15 Le espiazioni: guardami sbranato

Si erano addormentati mano nella mano, felici e contenti. E si erano risvegliati con queste ultime ancora serrate. Magari in maniera più forte e violenta, ma sempre cinte tra loro.
Si erano assopiti in un luogo di una calura unica e confortante, con tanto di luci soffuse, profumi d'ambiente e coperte. E si erano risvegliati in una puzza tremenda ed un freddo micidiali. Le luci però erano ancora soffuse.
Si erano addormentati con entrambi un tatuaggio sull'avambraccio destro. Ora nessuno dei due lo possedeva più.
Si erano addormentati distesi su un letto, si erano risvegliati appesi a un gancio.
Sì, appesi a un gancio. Un gancio che gli si conficcava ad entrambi dietro alla schiena e si arpionava appena sotto le costole. Il sangue che era uscito era stato copioso, ma il freddo di quella cella frigorifera aveva interrotto il fiotto. Tuttavia la sensazione di dolore lungo la schiena e le ossa, come qualcosa che ti sta tirando via l'anima, era ancora vivida. E sembrava che lo sarebbe stata per sempre.
L'uomo era sveglio e la sua barba era ghiacciata. La donna dormiva e da un angolo della bocca le usciva un rivoletto di sangue marrone e secco. Avevano le dita incrociate e saldate insieme dal ghiaccio, ma i piedi di entrambi oscillavano immoti nel vuoto. Intorno a loro carcasse di animali scuoiati e puzza di carne marcia.
La ragazza si destò all'improvviso e cercò invano di agitarsi e capire cosa stava succedendo. Non riusciva ad urlare, come anche il suo fidanzato appeso accanto a lei. Erano impotenti ed algidi, neanche la più grande forza decisionale e di volontà avrebbe potuto aiutarli.
Da dietro gli animali morti e grondanti sangue, fuoriuscirono delle persone a loro sconosciute. Pallide, affamate, bramanti. Annusavano l'aria come cani in cerca di funghi e fissavano i due con ingordigia e appetito.
Aiutateci, cercarono entrambi di bofonchiare, senza nessun risultato.
Poi inaspettatamente, tutti gli furono addosso cominciando a sbranarli freddi ma vivi.

"Aiutare il prossimo è una delle più belle azioni che si possono fare", proruppe Solomon dopo un altro quarto d'ora d'incisione, accompagnato da un ulteriore racconto di vecchi clienti.
"Tuttavia nessuno si rende conto che il non farlo è un peccato veramente atroce e maligno. Non aiutare, mostrarsi indifferenti, agire da ignavi. Trasmette freddo e cattiveria verso chi invoca aiuto, ma soprattutto li fa sentire sbranati da lacerazioni esterne... che giungono fino al cuore e la mente".

sabato 26 agosto 2017

#1 Le espiazioni: annegamento da fumo

Solomon mi si avvicinò portando con sé un grosso raccoglitore pieno di fogli.
"Se non hai portato un'immagine con te, qua posso mostrarti varie versioni di cobra da poterti tatuare".
Afferrai il librone e mi parve che pesasse centinaia di chili. Me lo poggiai sulle gambe, sentendo le ossa e le articolazioni lamentarsi per il dolore. Cominciai a sentirmi confuso e leggermente rintontito, e questo mi portò a focalizzarmi su uno dei tattoo che l'uomo aveva sul bicipite destro.
"Cos'è quella nuvoletta spumosa e brumosa che hai? Sembra viva, lucida e irreale", domandai incuriosito e rapito dall'immagine.
"Sicuro di volerlo sapere?".
"Sì", mi ritrovai a rispondere senza neanche averne la consapevolezza.
"Beh...", cominciò lui.

Stu era un uomo di quarant'anni, pelato e con gli occhiali. Lavorava in ufficio senza sosta stressandosi dalla mattina alla sera e passava poco tempo con la propria famiglia. Non aveva mai fatto mancare niente ai suoi cari, se non la propria presenza. Era però giustificata quest'ultima e quindi nessuno osava rinfacciarglielo in qualche modo. Chi d'altronde avrebbe potuto?
Stu aveva un simpatico vizio, in fondo ogni uomo ha il proprio... c'è poco da fare. A Stu piaceva fumare, a Stu piaceva fumare un sacco. Consumava in effetti circa quaranta sigarette al giorno e non desiderava altro se non l'inizio di una nuova giornata per poterne fumare altre quaranta. Non ne poteva fare a meno, anche se gli effetti erano visibili, considerato l'affanno costante che si trascinava dietro da anni. 
Quando decise di farsi un tatuaggio, il nome di Solomon gli capitò davanti agli occhi per caso. Un post sponsorizzato su Facebook apparì dal nulla sulla home che saltuariamente faceva scorrere.
I tattoo di Solomon non si pagano, i tattoo di Solomon sono gratuiti. L'artista però esige un altro tipo di prezzo da te. Dovrai fronteggiare i tuoi peccati, ammetterli ed espiarli. Altrimenti i peccati espieranno te.
E così era corso a farsi un tatuaggio, una roba da poco, una roba scontata. Un piccolo laghetto al tramonto con un colibrì. Adorava i colibrì, era una delle specie animali che lo affascinava di più. La velocità del loro battito d'ali, il poter restare sospesi ad aspettare... ad osservare. Una velocità che lui non aveva più da molto tempo ormai, a causa di quel dannato affanno.
Quando uscì dallo shop con il disegno nero sul petto, si rese conto che in effetti non gli aveva fatto per niente male. Anzi, si sentiva stranamente bene, rilassato, come se si fosse tolto un peso dallo stomaco.
Decise di fumarsi una sigaretta, per cui si fermò sotto un albero e cavò il pacchetto dalla tasca. Ne prese una, l'avvicinò alla bocca e l'accese inspirando una profonda boccata. Il sapore che sentì fu però di sangue.
Sangue. Sangue. Sangue. Dentro di sé una fontana in piena sgorgava e riempiva gli anfratti. Emetteva e s'infiltrava in ogni orifizio ed insenatura. Il sangue si muoveva come mille serpenti e annegava qualsiasi cosa ci fosse da annegare. Il sapore metallico che sentiva nei polmoni era così intenso che sembrava avergli permeato il cervello. Tossì, tossì pesantemente, ritrovandosi un grumo di sangue sulla mano. Si spaventò ed alcune lacrime gli riempirono gli occhi. Cominciò a vedere rosso, perché quello che piangeva erano lacrime sangue.
Un'ombra si stagliò all'orizzonte, sfocata ed indistinta. Lo fissava accecandolo con il tramonto alle sue spalle e restava in attesa come un colibrì pensante. Stu si strappò la camicia e notò che il suo tatuaggio non c'era più, era svanito. Ma perché? Come mai?
Prima che potesse rispondere a tutto questo, il sangue interiore aumentò e il suo tossire anche. E Stu svanì come una nuvoletta di fumo perché non aveva ascoltato le parole di Solomon.
Non aveva espiato il peccato che avrebbe dovuto.

giovedì 24 agosto 2017

#0 Le espiazioni: tatuarsi un'anima

Andai a fare un tatuaggio da un uomo chiamato Solomon, poiché tutti i miei amici avevano già usufruito dei suoi servigi. Era un uomo riservato, misterioso e ricoperto di tattoo dalla testa ai piedi. Il suo stile non era uno stile comune. Al di là dell'assurdo realismo che imprimeva nelle sue creazioni, i tatuaggi che sfoggiava sul proprio corpo erano impressionanti e spaventosi. Un miscuglio caotico di qualcosa che nessuno avrebbe mai potuto capire.
Mi presentai all'appuntamento circa un'ora prima, fermandomi lungo il marciapiede a fumare una sigaretta. Poche persone camminavano per la via, mentre il sole si attardava a raggiungere l'orizzonte. Era pomeriggio inoltrato e un cielo limpido sovrastava quelle strade malfamate.
Entrai nel negozio soltanto dopo aver calpestato la cicca con il tacco della scarpa e comunicai alla ragazza della reception che avevo prenotato una seduta. Lei mi disse che potevo tranquillamente entrare in stanza, visto che non c'erano altri clienti e Solomon era all'opera su sé stesso in attesa di qualcuno.
Varcai la soglia senza pensarci più di tanto e respirai lo stantio odore di pareti non arieggiate ed inchiostro fresco. Mi girò la testa e mi appoggiai alla parete per un secondo. Solomon era lì, a torso nudo, piegato su una sedia si percorreva il ginocchio con l'ago di una macchinetta per tatuaggi, calcando quello che forse era un vecchio disegno, anche se  non avrei mai potuto essere sicuro circa il fatto che fosse o meno un tattoo nuovo.
"Accomodati", mi ordinò senza distrarsi dalla sua operazione.
"Cosa si sta tatuando, se posso chiedere?", domandai, cercando di scorgere un senso a tutte quelle linee e quegli arabeschi che gli circondavano il ginocchio e la gamba. Da solo non ci riuscivo minimamente, anche perché l'inchiostro era strano e troppo irreale. Quei disegni erano lucidi e pulsanti, come se racchiudessero qualcosa sotto la pelle. Erano gonfi come ferite, gonfi come ogni tattoo appena fatto.
"Un'anima", rispose secco, continuando il proprio lavoro.
Lo fissai interdetto, pensando a come si potesse disegnare un'anima, per cui decisi di aspettare e vedere il risultato finale.
"Cosa vuoi tatuarti?".
"Un cobra".
"Di che grandezza?".
"Una quindicina di centimetri".
"Dove?".
"Sul braccio destro".
"Perfetto" e si alzò in piedi smettendo di disegnare su di sé. Il risultato finale era una sfera nera, lucida e gonfia che pulsava e perdeva un po' di sangue. Mi fece impressione fissarla, ma non potei farne a meno.
"Come mai i suoi tatuaggi sono diversi da quelli che vedo sulle altre persone? Usa una tecnica particolare e sconosciuta per sé stesso?".
"No, non è così complesso. I miei tattoo, a differenza di quelli degli altri, non guariscono. Non guariscono mai, affinché io possa sempre ricordarmi di loro e della loro presenza", spiegò sorridendo in maniera macabra e facendomi rabbrividire.
"Come sarebbe a dire?", domandai spaesato e confuso.
"Io non prendo soldi per tatuare le persone. Chi vuole uno dei miei lavori, deve espiare poi i propri peccati. Chi non è avvezzo a tutto questo, muore ucciso dalle proprie colpe e io sono costretto a tatuarmi per sempre e dolorosamente la sua anima. Un tatto inguaribile che non permette a me di dimenticare la vita che ho stroncato".
E a quel punto impallidii, venendo stritolato dalla consapevolezza che quell'uomo di nome Solomon forse un uomo non era.

giovedì 18 maggio 2017

#1 Horror Club: i veri peccati

La tv era accesa e il suo formicolio crepitante rischiarava lievemente il buio della stanza. Stringevo tra le dita un bicchiere di scotch e fissavo sul tavolinetto una bottiglia di plastica con del liquido blu.
Nella vita ci focalizziamo sulle nostre azioni, come nessun'altra specie animale. Pensiamo a cosa vogliamo fare, a cosa dobbiamo fare, a cosa desideriamo assolutamente fare. In tutto questo ci lasciamo limitare da quelli che consideriamo peccati, quelle azioni che non andrebbero commesse poiché malvagie o punibili dalla legge. C'è chi se ne frega e persiste, e c'è chi si ferma e desiste. Ma quali sono questi peccati? Quali sono i veri peccati? Uccidere? Rubare? Stuprare? Quali sono i peggiori? Quali sono i veri?
In quel bosco, quella mattina, avevamo trovato qualcosa che nessuno mai si sarebbe aspettato di vedere. In quella passeggiata nella natura avevamo sentito all'improvviso un pianto di un bambino, un pianto strano, innocente, distorto. Un vagito soave, un vagito tonante. Così ci eravamo fermati, avevamo teso le orecchie e avevamo frugato tra i cespugli. Un bambino. Piccolissimo. Candido. Con due piccole protuberanze di carne sulle scapole. Lì per lì, pensammo fosse tutto uno scherzo, magari un prank organizzato da qualche canale youtube. Ci guardammo intorno, ma non c'era nessuno. Cos'era un angelo? Un incrocio tra l'uomo e un uccello? Il risultato di qualche esperimento? Un messia? Se ce lo fossimo tenuto, quante persone ci avrebbero creduto? Quante tv avrebbero voluto specularci sopra? La verità è che nel mondo ogni tanto appare qualcosa di buono, ma questo posto marcio non è mai pronto per accoglierlo.
Prendemmo i coltelli, quelli che avevamo portato per abbattere i rami che ci avrebbero ostacolato il cammino, e senza pensarci due volte recidemmo le piccole protuberanze del bambino. Nessuno di noi si aspettava che cominciasse a sgorgare sangue blu. Nessuno di noi si aspettava che l'urlo agghiacciante del pargolo cominciasse ad incendiare gli alberi vicino. Ci spaventammo, le protuberanze erano vere. Il bambino strillava dolore infuocato.
Gli piantammo un coltello nel petto. Per zittirlo. Per metterlo a tacere. Per non rischiare che il suo pianto uccidesse noi e distruggesse tutto. Con prontezza usammo le nostre bottiglie d'acqua per raccogliere tutto il sangue possibile, poi gettammo il corpo nel fuoco. Una fiamma blu si alzò nel cielo e il cadavere minuto si polverizzò all'istante. Non era umano. Forse neanche divino o demonico. Era qualcosa di oltre. Qualcosa di buono. Qualcosa di inspiegabile.
Tornammo a casa, ognuno con la sua porzione di sangue blu.
Sul tavolo c'era la mia. Cosa ne dovevamo fare? Venderla? Farla analizzare? Le leggende hanno migliaia di possibilità riguardo l'utilizzo del sangue, per cui io pensai ad una di questa. E senza capire la grandezza del mio peccato, bevvi il sangue blu...

Quando finì di raccontare la sua storia, il primo scrittore nero poggiò di nuovo la candela sul tavolo, andandosi poi a sedere su una poltrona libera. Noi tremavamo guardandolo, la sua cicatrice blu sulla guancia brillava iridescente...