Una medaglia ha sempre due facce,
ma entrambe hanno la stessa forma e condividono lo stesso spessore e materiale.
Una clessidra ha sempre due lati,
ma il loro volume è il medesimo come anche il tempo che occorre alla sabbia per
viaggiare da una parte all'altra.
Anche un essere umano è diviso in
due metà, una visibile a tutti e l’altra celata, ma il corpo che le ospita, il
cuore che le sorregge e il cervello che le comanda a volte non riescono a
distinguerle.
Quella serata si basò proprio su
questa legge universale, scindendosi in due momenti distinti e separati il cui
perno di giunzione fu il Dottor Sterling, il cui segreto era sconosciuto pressoché
a tutti.
Quel 10 dicembre sera la sala Konserthuset era così gremita che i respiri di tutti i presenti erano in grado di viziare l’aria anche con le finestre aperte e, nonostante non facesse poi chissà che caldo primaverile all'esterno, l’ambiente era tiepido e accogliente, seppur devastato dai costanti e fastidiosi bisbigli della folla. Tutte le poltrone rosse erano occupate, tutta la gente indossava smoking, maestosità e cultura. I tappeti porpora con arabeschi dorati erano di una bellezza inaudita, proprio come quei quadri settecenteschi che abbellivano il salone, coprendo piccoli sprazzi della carta da parati floreale su base bordeaux. Un grosso lampadario di cristallo irrorava luce e lucentezza su tutti gli animi e il palco di legno scuro, il cui sipario era già aperto, sosteneva un leggio del medesimo colore mogano e un microfono silente illuminato da una decina di faretti.
Si trattava della premiazione e
assegnazione dei premi Nobel del 2019 e Tim Sterling doveva ricevere la sua
consacrazione definitiva, ritirando la propria targhetta per la sezione di medicina.
Alcuni mesi prima aveva finalmente diagnosticato la depressione come patologia
non solo psichiatrica, ovvero un comune disturbo dell’umore, bensì anche
fisico-neurologica iniziando poi uno studio ben finanziato per ricercare una
cura efficace per debellarla, che fosse chirurgico-invasiva o meno. Era
riuscito a trovare più di duecento soggetti, la cui forma depressiva acuta
mostrava segni tangibili all'interno del tessuto cerebrale, ma in alcuni casi,
oltre ai sintomi ormai ufficializzati dai manuali diagnostici per la comparte
psicologica e dal medico per quelli fisici, era possibile notare altri campanelli d'allarme nell’organismo in grado di diagnosticare al 100% la presenza della depressione.
Non era un virus, non era un’infezione, non era un cancro e non era batterica.
Non c’era tuttavia un vero e proprio modo per definire quella tipologia di
malattia a cavallo tra la psicosi, il malessere psicosomatico e l’alterazione
del funzionamento degli organi. Ma i sintomi esistevano, non era tutto frutto
di una mente traumatizzata o di una personalità deviata, una bassa autostima o
un umore settato verso il basso. Si trattava di sintomi fisici reali e con essi
c’erano le reazioni alla patologia, di conseguenza doveva esserci per forza di
cose anche una cura, cosa su cui il medico stava appunto lavorando con quei
finanziamenti. Anche perché se si fosse rivelata essere inguaribile e quindi latentemente terminale, più 350
milioni di abitanti nel mondo avrebbero corso un gran bel rischio.
Quando alle 21 chiamarono il suo
nome per invitarlo sul palco a ritirare la targa, cosa più importante per lui
in quel momento buio della sua carriera da neurochirurgo, dopo aver perso una
decina di pazienti consecutivi nel 2018, gli tremavano le mani dall’emozione.
Era sbalordito, felice e insicuro e le sue dita frenetiche non desideravano
altro che infilarsi nelle tasche per prelevare la fiaschetta di tequila segreta
e il suo pacchetto di sigarette alla menta, le sue uniche debolezze umane, che
tra l’altro un medico che si rispetti non dovrebbe neanche lontanamente avere.
Salì i gradini di legno che non
scricchiolarono sotto la sua mole esile ed emaciata, simbolo emblematico di un
uomo che non aveva mai fatto un giorno di palestra in vita propria, ma che
possedeva un metabolismo così accelerato da farlo apparire magro anche a 40
anni e con la pancetta da beone. Avanzò nei suoi pantaloni beige a sigaretta,
lasciando che i suoi mocassini neri si godessero il luccichio dei faretti che
si specchiavano. Gli diedero un’auricolare con microfono prima di qualsiasi
altra cosa, in modo tale che potesse ricevere istantaneamente la traduzione di
ciò che si sarebbe detto, fornendo ovviamente anche a loro la possibilità di
tradurlo per l’uditorio. Protese la mano per stringere quella dell’uomo baffuto
e stempiato che reggeva la targhetta e poi venne detto qualcosa in svedese e
lui sorrise sentendo la voce suadente di una donna ripetergli la frase in
italiano.
“Non so come abbia fatto a non
ridere in quel momento o comunque a non provarci con la dolce vocina che mi
sussurrava cose mediche all’orecchio”, dichiarò Sterling in una botta di
ilarità, sbattendo il bicchiere di scotch vuoto sul bancone di legno, mentre
l’uomo al suo fianco lo imitava lasciandosi cogliere da un accesso di risa
esorbitante.
“Ero in terza fila, ma non sono
riuscito a vederti bene. Avrai avuto la faccia di uno che sta per scoppiare!”,
aggiunse il suo compagno di bevute momentaneo, un certo scrittore di altri
tempi che non aveva vinto alcun premio quella sera ma che era da considerare un
ospite fisso ad ogni premiazione. Aveva grossomodo la sua età, ma sembrava
ridere per le cose più stupide mai viste o forse erano tutti quei bicchierini
vuoti che avevano davanti a rendere felice l’aria del bar post-nobel.
Il locale era gremito, come lo
era stato il salone di un’oretta prima, solo che non si trattava della stessa
tipologia di gente in smoking e latinismi, sebbene il locale fosse comunque un
pub pittoresco e rinomato in fondo alla stessa via dove c’era la sede della
premiazione a Stoccolma, ovvero a meno di 150 metri da uno dei palazzi più
famosi della capitale svedese.
Da quell’evento, era possibile
vedere unicamente loro due in quel bar, visto che tutti gli altri presenti, che
ricoprivano tutte le panche e tutti gli sgabelli, erano semplici clienti
abituali, a cui piaceva esibire un certo tenore di vita e di classe anche
bevendo una pinta. Era un pub tradizionale, ma per la posizione in cui era
ubicato era normale che anche il prezzo di una semplice birra fosse così
vertiginoso. Tutto nella regola della realtà moderna.
“Tu hai mai vinto un Nobel per la
letteratura, Larry?”, chiese il medico, facendo segno al barista di portare
altri due drink, questa volta doppi. Aveva la mente annebbiata e desiderava
tanto fumarsi una sigaretta, ma uscire al freddo non era una buona idea, se non
si fosse riscaldato il cervello almeno un altro po’.
“No, ci sono andato vicino un
paio di volte, credo. È la decima volta che vengo invitato alla premiazione, ma
non penso di averlo mai davvero meritato finora. Quindi non mi danno per essere
ancora a mani vuote”.
I bicchieri giunsero, brindarono
senza alcuna parola e fecero un piccolo sorso ciascuno. Era il momento di
godersi quella brodaglia invece che ingollarla, perché in fondo era giunto il
momento di cominciare i discorsi seri e smetterla con quelle fittizie
chiacchiere.
“E quindi vuoi scrivere un libro
su di me, così da vincerne uno”, dichiarò di punto in bianco Sterling,
strizzando gli occhi per l’eccessiva forza di quello scotch. Il barista aveva
per caso cambiato bottiglia o annata? Quel veleno era migliorato dal nulla.
“Ho riso troppo alle tue battute
scommetto, per questo mi hai pizzicato”.
“Touché”.
“Questa è l’idea comunque, anche
se mi interessa più il percorso che ti ha condotto alla diagnosi piuttosto che
la tua persona”.
“Vuoi semplicemente scoprire come
ho fatto a diagnosticarla, allora? Puoi leggere la mia ricerca, è tutto
spiegato lì”, asserì beffardo, non riuscendo a sorseggiare il drink e
mandandolo giù di colpo, sbattendo di nuovo il bicchiere sul bancone senza però
fare un altro ordine.
“Non credo che spulciare le
cartelle di duecento pazienti, in cui in maniera medica fai analisi del sangue
e delle feci, possa aiutarmi in qualche modo”, replicò lo scrittore, imitando
il suo gesto e svuotando il contenitore di vetro.
“Sigaretta?”, domandò Tim
alzandosi in piedi.
“Pensavo non me l’avresti chiesto
mai”, rispose Larry imitandolo nuovamente.
“Vuoi la verità, dunque?”.
“Sì, perché so che c’è molto di
più dietro tutta questa storia. Posso intuirlo”.
“Allora dovremo parlare per un bel
po’ e dovrai pagare parecchio alcool, anche se dubito riesca a spiegarti le
cose in una sola serata. È passata la mezzanotte”.
“Troveremo il modo per parlare
anche in altre sedi e altri modi”.
“Prima che esca il libro, nessuno
dovrà sapere ciò che ti dirò”.
“Si capisce, non getterei mai al
vento un’occasione così, spifferando la mia idea al primo che passa e rendendo
pubblico il segreto che me la farà sviluppare”.
“Okay, ma dovrai tenerti forte,
perché sto per dirti due cose che ti lasceranno a bocca aperta”.
“Cioè?”.
“La diagnosi iniziale non è stata
mia prima di tutto e poi è stata ultimata non su quei 200 pazienti della
ricerca ufficiale, ma su altri 20 ignoti... quando ormai erano già defunti da parecchio
tempo”.
E la porta del pub venne
spalancata da una donna con un vestito magenta, permettendo a loro di uscire e
al freddo di congelare quella rivelazione per sempre nella mente di Larry.