lunedì 26 giugno 2017

#1 Fears of mankind: Autopsy

If I must be honest, I love the place where I work. Quiet, cold, dark in a perfect way, close, huge and isolated. The white shiny tiles, which shine a little bit thank to the unique neon light in the room, have always got me comforted as my iron trolley with my autopsy tools. I can feel owner in my mortuary, I can be avenger and arbiter. I’m the one that knows what to do and I’m the one that explain to the others what they need to know. The people listen to me, the deceased respect me. I can be quiet and I can work without problems. Also the salary is good.
That Tuesday I had five cases to solve. Five people were died in a cruel way and the police station asked for an accurate autopsy. That day my neon light was noisy in addition to its usual unstable sparkling. I arrived to the mortuary when the dinner time had already passed and I knew I should probably have worked until the next day. That was not the first time I stayed during the night, the people never die in the right day moment for legal doctors.
I got the first document after had changed my dresses and I faced that it was a young lady, too young. Twenty-five years old, brunette, pale skin. When I removed the white sheet, besides seeing her delicious and died nakedness, I easily found eight cut hurts on her body. One of these was under her left bosom, a bosom very big and young. On the police record, there was written they had discovered her in a blood lake with her crying boyfriend. There was also a knife near them. He had denied, denied, denied.
It was not his fault. And my neon light seemed to be annoyed for this, so it started to stagger more.
They were a perfect couple, they had loved each other since more than one years. It was not him the killer. He had just found her in that way. Who? Who was the murderer? He wanted to know this! My neon light was getting angry.
That case was very simple, I had already understood why she was died. What I could do was to add some important deatils, maybe something about drugs or alcool, sexual illness, rape hurts, fighting hurts, semen. A dead body can speak better than an alive mouth.
I saw her with my personal sadness about that stupid tragedy. It should not have happened. In front of her there was an entire life! She was young, too young! I had to work hard, I had to found the truth for helping the police. My neon light seemed not to be agreed with this.
I observed her hurts after wearing my plastic gloves, I got the scalpel e I started to figure out where I could begin my work. Why had she got all of this?
Then, suddenly, she opened her eyes. She spread them totally out. Light blue, deep, vitreous. She looked at me scared and angry at same time. I shivered, I froze. My neon light was literally getting crazy, in a while it would be blown up.
“It was him! I raped me… I reacted… he killed me to stop me… I need to go there… I need to meet him… can I?”, she spoke with a guttural and ghostly voice, trying to stop her lips going down. I was a salt sculpture, I didn’t reply.
She stood up, took my scalpel and left, naked how she was, while I couldn’t do anything. She opened the door and left. My neon light blew up with a big noise. I put my hands on my iron trolley to avoid falling. The other deceased started to groan.

sabato 24 giugno 2017

#1 Savior: piscina di sangue

Quando si sedette a bordo piscina, per riprendere un po' fiato dopo tutte quelle vasche, si accorse che quasi la metà delle ragazze era già andata a fare la doccia.
Si sentiva sfinita, distrutta fino allo stremo. Stava cominciando ad odiare quella faticosa acqua che puzzava di cloro.
La sua allenatrice le spingeva al massimo, le spingeva oltre i loro limiti, dava loro il sogno di una impossibile olimpiade. A sedici anni, senza gare né allenamenti mirati, era ormai improbabile raggiungere quei livelli e finire in quella tipologia di competizioni.
Si alzò in piedi, lasciando che le mattonelle sotto il suo sedere si bagnassero di più e si diresse verso gli spogliatoi, cercando di non scivolare. Non aveva portato le ciabatte, come una stupida le aveva lasciate in borsa.
"Signorina!", disse una voce alle sue spalle. "Non si cammina lungo questa zona senza niente ai piedi! Potrebbe farsi male e gettare acqua ovunque!".
Si voltò per scusarsi, per giustificare quel suo comportamento, ma quando si girò vide un uomo mai incontrato prima. Doveva essere il nuovo istruttore delle classi maschili, un uomo che lei non aveva mai visto.
Era in quei momenti che Lizzy odiava il suo dono, quello di poter vedere oltre, di poter vedere tutto senza filtri. Sapere ogni cosa di una persona senza chiedere il permesso né averne la voglia.
Lo vide sudato a guardare la televisione con tantissime bottiglie di birra vuote sul divano, lo vide scrutare la moglie che piangeva facendo i piatti, lo vide costringerla a scopare, lo vide rompere una sedia soltanto perché la sua squadra aveva perso una partita. Lo vide tossire, lo vide bere. Lo vide guidare e andare a lavoro. Vide quando da piccolo suo padre lo picchiava perché gli piaceva stare in stanza nudo a fissarsi allo specchio, lo vide al mare mentre accarezzava sua figlia. Vide quando abbastanza cresciuto rispose a suo padre, lo picchiò e andò via di casa senza mai più ritornare. Lo vide piangere, lo vide fumare. Ma quello che vide per ultimo, fu sua figlia legata in cantina come un animale. Segregata, frustata e piangente. Adagiata a terra a mangiare in una ciotola, e questo solo perché aveva risposto male.
"Ha capito quello che ho det..." e con un pugno dritto sul naso Lizzy lo buttò a terra, facendogli perdere i sensi.
Una rabbia anormale le era salita in corpo, cruda e selvaggia come mai lo era stata prima. Quell'uomo era una bestia, uno schifoso porco e un lurido padre. Un uomo che aveva sofferto ed aveva fatto sì che la sofferenza fosse il suo comportamento per il futuro.
Lizzy non lo poteva tollerare.
Ma adesso, con lui a terra e con il naso rotto, cosa diamine doveva fare?
Gli diede comunque un calcio nelle palle prima.

giovedì 22 giugno 2017

#0 Savior: Il potere di Lizzy


Si chiamava Lizzy, aveva sedici anni e amava camminare lungo le strade della città. Lizzy era un'osservatrice, un'ascoltatrice, una a cui interessavano i dettagli del mondo e quelli delle persone che lo abitavano.
Lizzy era una ragazza normalissima, i cui interessi rasentavano il comune. Ascoltava la musica rap, leggeva libri gialli, seguiva corsi di nuoto. La normalità più assoluta.
Era uno soltanto il problema di questa ragazza, uno che a primo impatto potrebbe anche non destare nessuno scalpore. Il problema di Lizzy infatti era che i suoi occhi... potevano vedere.
Non ricordava quando fosse realmente iniziata questa cosa, se mai fosse esistita una vera e propria prima volta, fatto sta che il suo sguardo poteva andare oltre quelle che possiamo definire apparenze.
Lizzy si sedeva nei bar a consumare una semplice colazione? Nell'istante in cui andava via, la sua mente era affollata e piena della vita di tutti.
Se voi poteste andare a fondo nel cuore e nell'anima di un essere umano, cosa vi mettereste mai a cercare? I peccati? Le buone azioni? I segreti? L'amore? Le paure? I dolori? Da cosa vi lascereste ammaliare? Potreste sopportare la mole di tutti i ricordi di un uomo?
Lizzy non poteva evitarlo in nessun modo. Lizzy scorgeva distrattamente gli occhi di qualcuno e la sua vita le veniva servita su un vassoio d'argento splendente. Tutto quello che aveva vissuto, pensato e fatto si dispiegava come un tappeto appena pulito. Lei non scavava nelle persone, lei si ritrovava dentro il più profondo dei loro anfratti senza neanche desiderarlo.
Aveva scoperto che suo padre tradiva sua madre. Aveva scoperto che sua madre spendeva più soldi di quanto dicesse. Aveva scoperto che suo fratello non riusciva ad ammettere la sua omosessualità per i violenti bulli che c'erano a scuola. Aveva scoperto che la sua migliore amica era innamorata profondamente di lei.
Aveva scoperto tante cose, come anche il fatto che sapere tutto è soltanto una macabra condanna.
Tutti vorrebbero la conoscenza, ma per fortuna nessuno la possiede davvero.
Se un raggio di sole rischiarasse la mente dell'uomo, gli brucerebbe il cervello.
Bastava voltare lo sguardo e Lizzy cadeva nei vuoti delle anime, cogliendone ogni fottuto dettaglio.
Può sembrare simpatico, ma non lo è minimamente.
Immaginate di guardare all'interno della vera realtà degli uomini.
Se vi trovaste qualcuno di malvagio? Se vi trovaste qualcuno di violento?
Se vi trovaste qualcuno non più vivo?
E se vi trovaste qualcuno che non è umano?
Lizzy poteva vedere...

venerdì 2 giugno 2017

#13 Horror Club: l'uomo che mangiava i vestiti

Lavorava ormai da anni in quella gigantesca lavanderia industriale, tant'è che mancava poco alla sua promozione a caporeparto. Non era un mestiere molto faticoso, anche perché con l'avvento delle nuove tecnologie molti ruoli della catena di montaggio erano pressoché sostituiti dai macchinari. Erano poche le mansioni rimaste e spesso queste ultime non erano altro che tener sotto controllo il funzionamento di quelle braccia meccaniche. A lui piaceva quel lavoro, non gli dava neanche troppi problemi ... forse.
Luca ad esempio era uno di quei dipendenti che non aveva mai potuto sopportare. Un ragazzo schivo, timido, preoccupato, uno di quelli che non cerca di stringere rapporti con nessuno, ma che poi diventa una sanguisuga con l'unico essere umano a cui aveva furtivamente detto ciao. Luca aveva detto a lui ciao e Luca era diventato la sua ignobile sanguisuga. Lo perseguitava, lo seguiva, gli offriva il pranzo. A volte gli chiedeva anche come stesse sua moglie, donna che non aveva ma incontrato. Altre volte invece non lo degnava di uno sguardo ed in particolare accadeva nei giorni in cui sembrava depresso. Si presentava a lavoro abbattuto e pallido come un cencio, si dedicava con pigrizia alle sue mansioni e restava con lo sguardo nel vuoto per ore, estraniandosi dal mondo. Questo era un aspetto che lo inquietava. Ciò che però lo spaventò di più accadde un giorno in cui entrambi restarono per degli straordinari notturni.
Erano soli, avevano una mole esorbitante di lenzuola da lavare e l'unico che riusciva ad usare i macchinari più grossi non era Luca. Questo significava che avrebbero dovuto lavorare separati, uno in una stanza e l'altro in un'altra. Si trattava di alcune ore, ma il suo collega stava attraversando una di quelle giornate di depressione. Alle tre passate infatti andò a vedere come se la stava cavando e quello che vi si parò dinanzi fu impensabile.
Luca era carponi su uno dei tavoli allestito per il piegamento dei tessuti più grandi. Contorto in una posizione animalesca mangiava voracemente le lenzuola. Le addentava come se fossero prede succulente, come se fossero gazzelle divorate da un leone. I suoi occhi non avevano pupille e dalla bocca gli colava sia sangue che bava bianca. I suoi denti producevano un rumore grottesco e neanche riusciva ad immaginare come potessero lacerare le lenzuola fino ad ingoiarle. Le mani stringevano così forte quelle stoffe che parevano indemoniate. Il suo ventre era gonfio e di un colore violaceo. C'era una puzza di morte indescrivibile.
Cosa cazzo stava succedendo? Cosa diamine era preso a quell'uomo? Stava mangiando quelle lenzuola come se fossero pezzi di carne gigante! Era indemoniato? Era posseduto? Era fatto? Era impazzito?
Non cercò di farlo rinsavire per due motivi molto semplici. Il primo era legato al fatto che fosse letteralmente terrorizzato dalla situazione.
Il secondo era legato al fatto che non c'erano soltanto le lenzuola sul grosso tavolo su cui era carponi Luca, no. In un angolo, mordicchiati e appena appena lacerati, c'erano dei vestitini di sua moglie e alcuni maglioni di suo figlio.
Fino a che punto Luca era diventato la sua sanguisuga?
Non lo voleva sapere ... preferì prendere le chiavi di casa e andare a controllare come stesse la sua famiglia.

Raccontò la sua macabra storia con la sua voce squillante, cercando di dare un'intonazione adeguata ad ogni passo. Ci fece rabbrividire, sembrò essere come un doppiatore dell'orrore fuoriuscito dai tenebri fotogrammi di un film maledetto.
Controllai se i miei vestiti avessero dei morsi per puro riflesso incondizionato, quella scena era stata rivoltante e spaventosa allo stesso tempo.
Toccava a me ora, ma non avevo idea di cosa dover narrare. L'ultima storia da me detta era fuoriuscita automatica dalle mie labbra, tant'è vero che da solo mi ero spaventato. Non l'avevo inventata né pensata, era uscita dalle mie labbra e basta.
Adesso però ero vuoto, vacante, dissacrato. Toccava a me e non avevo storie dell'orrore. 
Venni salvato dall'uomo con la cicatrice, il quale alzandosi in piedi dichiarò conclusa quella prima seduta. Potevamo tornare a casa, potevamo riposare. Ci saremmo visti il pomeriggio seguente, allo stesso orario, allo stesso posto. Non dovevamo preoccuparci di niente, aveva tantissime novità di cui svelarci i misteri...