Dopo la morte di mio padre, nessuno della nostra famiglia mise più piede giù in cantina. Mio padre era quello che riparava tutto in casa, quello che pitturava, quello che si occupava di tutte le manutenzioni. Conservava tutti i suoi attrezzi in cantina, di conseguenza era un luogo che raramente qualcun altro visitava. Una volta che l'infarto lo stroncò nel sonno senza una ragione plausibile, la cantina divenne semplicemente una porta che nessuno voleva aprire. Se c'erano delle riparazioni da fare, io, mia madre e mio fratello maggiore chiamavamo gli esperti del settore.
Un giorno però, trovatomi da solo a casa dopo la scuola, sentii un forte rumore provenire dal pavimento, come se qualcosa fosse caduto provocando un grosso tonfo. Pensai a qualche topo o a qualche altro animale che bazzicando la cantina aveva fatto cadere un oggetto, per cui decisi di andare a dare un'occhiata. Aprii la porta con cautela, venendo sopraffatto da una purulenta zaffata di aria stantia, che quasi mi fece lacrimare gli occhi. Non facevamo arieggiare quel posto da secoli.
Accesi la luce e pian piano cominciai a scendere i cigolanti gradini di legno. Lì per lì mi pietrificai, e quasi mi misi a urlare pensando che fosse un ladro, ma poi quell'ombra in fondo alla stanza mi disse di stare calmo. Afferrai la prima cosa che mi capitò a tiro, una chiave inglese, e gli intimai di non muoversi e di dirmi cosa ci faceva lì.
"Sono un fantasma, caro mio. Sono morto più di ottanta anni fa, non potresti farmi del male neanche se ci provassi. Stai calmo, va tutto bene".
Lo fissai inorridito, mentre faceva dei piccoli passi verso di me. Eppure quelli non erano passi, non aveva i piedi. Svolazzava. Il suo mezzo busto superiore finiva all'altezza della cintola, poi c'era il vuoto. Stranamente non mi sentivo più tanto spaventato, l'idea che fosse un fantasma e non un ladro, mi aveva acquietato in un certo senso.
"Co... co... cosa ci... fai qui?".
"Mi suicidai parecchi anni fa, per solitudine. La mia grande nemica vinse ed io mi impiccai qui sotto. Sono qui alla ricerca eterna dell'amicizia e dell'amore, le due nemiche acerrime della mia carnefice".
"Mmm... mmm... ma hai mai... incon... trato... altre persone?".
"Certo! Come no! In questi tantissimi anni, ho incontrato tantissime persone!".
"Ness... uno... ti ha ai... ai... aiutato a trovare pace?".
"Soltanto uno, ma non ha funzionato".
Lo fissai spaventato, il suo volto era triste. Un uomo sulla quarantina, calvo, dal colore cinereo e trasparente, degli occhi roventi e accesi. Fluttuava e mi guardava con serenità e tristezza.
"Siediti", mi disse. "Voglio raccontarti la storia di chi mi ha aiutato, la storia dell'uomo a cui ho fermato il cuore per potergli permettere di essermi amico per sempre".
Dietro di lui, in fondo alla stanza, intravidi il profilo di mio padre...
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